La Community I Buoni Frutti al Festival della Partecipazione invita al confronto gli attori dell’agricoltura sociale

Il 9 luglio, nella giornata di chiusura del Festival della Partecipazione svoltosi a L’Aquila, l’ATS I Buoni Frutti, fra il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa e AiCARE (Agenzia Italiana per la Campagna e l’Agricoltura Responsabile e Etica), ha presentato la Community attorno a cui raccogliere le energie della società civile interessata a sostenere l’agricoltura sociale.

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Oggi per tutti noi è facile distinguere un telefono (phone) da uno smartphone; il secondo ha molteplici funzioni. Abbiamo necessità che la stessa capacità di distinzione possa avvenire fra il food e lo “smartfood”. Il cibo può darci nutrienti, ma può essere frutto di processi di sfruttamento dei lavoratori, dell’ambiente, talvolta degli stessi produttori. Lo smartfood, al contrario ci assicura oltre ai valori nutritivi, la qualità alimentare, il rispetto dell’ambiente e il potere inclusivo ed educativo dei processi agricoli. Il cibo prodotto dall’agricoltura sociale è uno smartfood che oltre alla funzione alimentare crea valori economici, sociali e ambientali. Lo smartfood è un esempio di co-produzione di valori privati e pubblici, economici e sociali che implica anche il co-disegno tra le molteplici persone coinvolte: imprese, consumatori, cittadini, partecipanti, famiglie, operatori dei servizi. Riconoscere lo smartfood è oggi difficile se non impossibile, ma ricerca ed esperienze sul territorio ci dicono che esiste!

Il prof. Francesco Di Iacovo, dell’Università di Pisa, cita i recenti risultati in proposito; 1kg di prodotti biologici provenienti da agricoltura sociale, è in grado di creare: valore pubblico (7 minuti di lavoro inclusivo di persone a bassa contrattualità, con un’efficacia di risultati superiore rispetto a pratiche ordinarie di servizio; un risparmio connesso di spesa pubblica pari a 0,74 € rispetto al costo di servizi ordinari), valore per i consumatori (0,70 € di risparmio rispetto a prodotti equivalenti di agricoltura biologica nelle catene della distribuzione, grazie alla filiera corta che coinvolge le stesse persone a bassa contrattualità), valori privati (un margine di 0,30 €/kg per il progetto al netto dei costi).

Le imprese intervenute, cooperative agricole multifunzionali da anni impegnate in percorsi di agricoltura sociale nei rispettivi territori, mostrano nella pratica il modo in cui si organizza la co-produzione di smartfood in agricoltura sociale: Agricoopecetto con Elena Comollo (Torino), Fattoria La Sonnina con Lucia Margaritelli (Roma), La Porta dei Parchi con Manuela Cozzi (L’Aquila). Ad esempio, nel territorio di Torino in cui opera Agricoopecetto in 3 anni è stata creata una rete che ha coinvolto una sessantina di interlocutori – tra imprese, cooperative sociali, servizi, comuni – e che, dal 2011 al 2013, ha generato circa 40 posti di lavoro per persone a bassa contrattualità pagati dal valore economico creato dai prodotti delle aziende coinvolte. La domanda spontanea che viene da porsi è: se c’è una buona innovazione che è in grado di generare nuove opportunità, come è possibile accelerarne la rapida e corretta diffusione per aumentarne l’efficacia? Come fare rete, realmente, fra le imprese e tutti gli altri soggetti della filiera agri-sociale? Ovviamente questa domanda come ogni moneta ha una doppia faccia: di chi è la responsabilità di frenare l’innovazione non favorendo la diffusione di sistemi più efficaci nella creazione di valore economico, ambientale e sociale in una logica di prosperità? Se le istituzioni, le organizzazione di rappresentanza dei diversi settori coinvolti nell’agricoltura sociale, nei propri territori si fossero attivate in modo organico al pari di quanto avvenuto a Torino, si sarebbero potuti creare ogni anno almeno 1500 posti di lavoro per persone a bassa contrattualità senza investimenti pubblici (il cui controvalore sarebbe stimabile normalmente pari a circa 400 milioni di euro) con valori economici di produzione agro-alimentare etica di 150 milioni di euro nella rete di imprese coinvolta e un risparmio di spesa pubblica per servizi pubblici risparmiati di circa 20 milioni di euro. Di fronte a tali stime la domanda che sorge legittima è cosa, chi e perché sta negando tali possibilità in una fase di crisi economica e sociale in Italia?

Ad oggi, sostiene AiCARE, l’unico soggetto in grado di comprendere ed apprezzare l’innovazione rappresentata dallo smartfood, sono le imprese attive e la società civile. Nel corso di questi ultimi 10 anni, in iniziative di animazione e accompagnamento alle imprese e agli enti (visite-studio, ricerche sul campo, giornate di formazione premi nazionali) l’Università di Pisa ed AiCARE, hanno incontrato oltre 600 attori dell’agricoltura sociale. Anche per ovviare ai blocchi che rallentano l’innovazione, è forse oggi necessario stimolare il cambiamento mediante un coinvolgimento più attivo delle comunità locali, dei consumatori, delle associazioni attive sui diritti delle persone. I Buoni Frutti, come marchio etico, nasce proprio per rendere riconoscibile al coproduttore lo smartfood e per agevolarne la crescita e la diffusione accompagnando nuove pratiche di agricoltura sociale in un percorso spesso articolato. Attraverso un modello collaudato, nato dall’unione del patrimonio di conoscenze dell’Università di Pisa e di AiCARE, è oggi possibile per un’impresa agricola “convenzionale” trasformarsi con successo in produttore di smartfood.

L’irriverente e provocatoria moderazione del giornalista Pietro Barabino chiamando in causa gli altri attori presenti, chiede se la lettura fin qui fatta è corretta o se ci sono altre vie. Interviene Francesca Rocchi, Vice presidente Slow food Italia, la principale associazione di coproduttori (come lo stesso Carlin Petrini ama chiamare i soci Slow Food) del paese. Emerge come, in Italia, i marchi nati dalle istituzioni non hanno mai prodotto alcun risultato tangibile, hanno avuto invece successo i marchi nati dal basso, capaci di dare risposte alle aspettative della popolazione, per questo Slow Food è felice di mettere la propria rete al servizio di un progetto che come I Buoni Frutti crea innovazione positiva attraverso il cibo.

Carlo Hausmann, Assessore all’Agricoltura Caccia e Pesca della Regione Lazio, sottolinea come le pubbliche amministrazioni possono fare molto, in particolare evitando di frustrare l’innovazione e contribuendo a delimitare il campo delle regole operative. Il processo di co-produzione attiva le componenti delle comunità locali e della cittadinanza ed il sistema I Buoni Frutti con la sua Community è un sistema di generazione di affidabilità in grado di creare un rapporto duraturo fra imprese e co-produttori. In questa direzione le regioni possono attivare gli strumenti disponibili e applicabili facilitando la formazione di partenariati in grado di facilitare la connessione e fare crescere dialogo e affidabilità di sistema.

Roberto Weber, Istituto Ixè, ricorda una regola aurea a cui lo smartfood e l’agricoltura sociale certo non sfuggono: tutto ciò che è ideale, bello, utile, da sempre divide, crea barriere, sicuramente non unisce. Smartfood e agricoltura sociale sono processi “contro-corrente”, la narrazione quotidiana ed i valori correnti sono altri. A ciò si aggiunge che il soggetto pubblico, per sua natura, non sa riconoscere l’innovazione. Per superare queste barriere, la soluzione passa dalla capacità di questo settore di dimostrarsi concretamente utile.

A conclusione le parole chiave regalate da relatori e platea sono #cibocivile #parteCIBOazione #responsabilità #smartfood e soprattutto, come ha ricordato il moderatore, citando Goffredo Fofi: #resistere #farerete #studiare e #rompereicoglioni.

11 luglio 2017